Recensione di www.metallized.it: E per la serie: “non c’entra un beato nulla col metal, ma vale la pena di saperne qualcosa ed ormai dovreste essere abituati alle nostre incursioni in altri territori”, signore e signori, Diamanda Galas.
Alcuni di voi certamente la conoscono già, ma altrettanto certamente un numero maggiore sente questo nome probabilmente per la prima volta, ritengo pertanto che sia necessario qualche piccolo cenno biografico introduttivo al personaggio: Diamanda inizia ad essere conosciuta dal grande pubblico - almeno da quello di un certo tipo – all’inizio dei 70, quando si esibisce in epocali perfomances all’interno di alcuni manicomi sotto l’egida del mitico Living Theatre, per poi spostarsi rapidamente verso situazioni sperimentali elettronica-voce. Dopo la morte di AIDS del fratello poeta si sposta verso tematiche volte ad esaminare la sofferenza che colpisce l’uomo in ogni sua forma; ultimamente si divide tra la riproposizione di standads del blues/Jazz e dischi di denuncia del genocidio del popolo Armeno-Greco da parte dei Turchi, (lei stessa è di origini Greche).
Queste striminzite note biografiche tralasciano quello che è il connotato principale di Diamanda: la sua incredibile voce.
Qualcuno di voi è un ammiratore di Demetrio Stratos? Qualcuno di voi rimpiange ancora la sua prematura dipartita? Ebbene, qui ci troviamo di fronte al suo alter ego femminile, Diamanda infatti è una delle poche creature in grado di esprimersi in polifonia, con un controllo della voce-strumento quasi analogo, ma con alcune differenze: la prima è del tutto ovvia ed è costituita dal timbro femminile di Diamanda che crea normali differenze strutturali rispetto a quella di Demetrio, la seconda, più interessante, è da ricercare nell’inclinazione profondamente Dark/Horror delle interpretazioni della Galas, sempre volte alla ricerca di un Patos nero, malsano, estremo, spingendo vocalità ed atmosfere fino a risultare volutamente fastidiosa, irritante, angosciante; in linea con questo mood anche la tecnica pianistica usata.
“Guilty, Guilty, Guilty” ripropone sette standards Blues/Jazz/Country a sfondo noire in versione piano-voce, registrati quasi tutti durante il “Diamanda’s Valentines Days Massacre” , troviamo quindi “O Death” di Ralph Stanley, “Long Black Veil” di Johnny Cash, “Down so Low” di Tracy Nelson, “Heaven Have Mercy” che fu resa popolare da Edith Piaf ed altre ancora portate fino all’estremo limite interpretativo possibile, lasciandole precipitare fin dove l’anima non credeva di poter ancora essere cosciente di sé e mostrandole il suo lato nero, folle, marcio.
Amori oscuri e delusi afferrati con la forza e precipitati agli inferi, lamentosi in un modo che ricorda stranamente certe nenie di dolore ancora in uso in alcune zone del profondo Sud, fino a sfociare nel terrore puro e fine a se stesso, senza speranza.
E’ un disco difficile da metabolizzare, sia per i pezzi contenuti sia per il modo di cantarli e suonarli, ma la voce….la voce di Diamanda è qualcosa che bisogna, bisogna assolutamente sentire nella vita, magari sognando cosa sarebbe stato un disco con Demetrio Stratos, fantascienza pura.
Autore: Francesco Gallina "Raven" |